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AdVersuS, Año II,- Nº 3, agosto 2005
ISSN: 1669-7588
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E TUTTI CAPIRONO

Rafaelle Simone

 

Uno degli aspetti che più colpirono nella cerimonia funebre (più propriamente “messa esequiale”) per Giovanni Paolo II del 8 aprile 2005, fu la varietà di lingue in cui si é svolta. La liturgia è stata detta nel semplice, desueto latino che la Chiesa ha elaborato nei secoli, l'omelia in italiano (e da un cardinale tedesco!) preghiere diverse in altre lingue occidentali e orientali, inclusi l'arabo (che è raro sentir usato in un contesto cattolico) e lo swahili, la lingua di quasi tutta l'Africa centro-orientale. Questa varietà d'idiomi, anche parlati da persone che ne usano uno diverso dal proprio, costituisce una proprietà del cristianesimo cattolico che a me laico pare della più alta importanza.

Alludo alla fortissima preoccupazione per la trasmissione verbale e quindi per le lingue, che é centrale, quasi ossessiva, in quella tradizione religiosa, enormemente di più di quanto lo sia in altre. Lo stesso Giovanni Paolo II, come tutti sanno, aveva enfatizzato quella dimensione, avendo da decenni l'abitudine di rivolgersi ai fedeli in una quantità di lingue (o di “espressioni”, come diceva con un termine antiquato).

La preoccupazione per le lingue non appare solo nell'estrema complessità della tradizione dei testi biblici, in cui gli idiomi semitici (soprattutto l'ebraico) s'incrociano col greco e col latino. Si vede ancora di più nella prepotente vocazione apostolica del cristianesimo definita già nei Vangeli: alla raccomandazione di Gesù ai suoi «Andate, istruite tutte le nazioni» (Matteo, 28,19) corrisponde la Pentecoste descritta negli “Atti degli Apostoli” (2,2-12), in cui gli Apostoli acquistano per miracolo la capacità di parlare tulle le lingue:

Venne all'improvviso un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempie tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno di loro, ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue. La folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare nella propria. Tutti erano stupiti e perplessi chiedendosi l'un l'altro: “Che cosa significa questo?”

La pluralità delle lingue, che nell'episodio della Torre di Babele era presentata come l'effetto di una dannazione divina, riaffiora in questo passo come uno strumento cruciale dell'apostolato. II multilinguismo é quindi sin dagli inizi una risorsa normale della gente della Chiesa e uno degli aspetti più vistosi degli ambienti cristiani. Nei secoli successivi quest'interesse si é articolato in una quantità di maniere diverse, alcune delle quali di grande importanza. Ad esempio, pochi sanno che nell'epoca della Conquista spagnola dell'America Latina e dell'evangelizzazione non riuscita dell'Oriente da parte di Francesco Saverio, preti e monaci furono instancabili, voraci raccoglitori di fatti linguistici e tentarono la descrizione di numerose lingue ignote, delle quali hanno lasciato sommarie grammatiche o vocabolari. Di una quantità di lingue dell'America Latina, dell'lndia e della Cina abbiamo resoconti scritti da religiosi sin dal Cinquecento e fino ad oggi. In qualche caso quelle sono ancora le uniche descrizioni disponibili. Quell'attività era strumentale perché serviva a preparare la predicazione in quelle lingue, ma nasceva anche dal formidabile interesse di quegli uomini verso la varietà degli idiomi come fatto umano.

Athanasius Kircher, il gesuita tedesco attivo a Roma nel Seicento, famoso per aver creato al Collegio Romano un museo (oggi purtroppo disperso) d'oggetti sorprendenti di tutto il mondo raccolti attraverso la rete del suo ordine, costituì nella capitale un punto di raccolta di quei resoconti di lingue remote ed esotiche, e creò così una magnifica collezione di documenti che ancora deve essere studiata per intero.

La cerimonia plurilingue di ieri, quindi, é solo l'ultima scena della lunga storia di quel remoto «Andate, istruite tulle le nazioni». Va detto infine che un intreccio cosi ricco e fastoso di lingue antiche e moderne, sotto forme curiali e popolari, cerimoniali e colloquiali, e fatte risuonare in una così grande varietà di bocche, poteva realizzarsi solo a Roma: pur vituperata da alcuni, la capitale è semplicemente imbattibile per la tradizione (anche linguistica) che porta, di cui noi siamo oggi, solo pallidi eredi. Nell'età classica e tarda, in città si usava una formidabile varietà d'idiomi, dei quali il latino conserva ancora molte tracce. Nei suoi modi la Chiesa, coi suoi rituali e con la gente che la costituisce, conserva e continua quella straordinaria matrice.

Roma, 9 aprile 2005